“Immagini riconoscenti”
Pluralismo, riconoscimento e memoria collettiva
La memoria collettiva è altamente selettiva, trattiene ciò che ne sconvolge la ripetitività quotidiana, trasformandolo in evento eccezionale, oppure, al contrario, occultandolo, per tentare di sedarne gli effetti disgregativi: cosa porta le società a serbare i ricordi? Come vengono organizzate socialmente le memorie? Perché le società ricordano e insieme dimenticano? Come alcuni processi vengono elaborati e perché altri non trovano piena legittimazione all’interno del ricordo? Attraverso quali modalità i gruppi sociali, nello svolgersi della loro storia, organizzano la memoria come strategia immaginaria, rielaborata anche rispetto a contraddizioni reali? Accanto ad una memoria ufficiale, ad una sua vulgata egemonica, è possibile “immaginare” tante altre “memorie” minoritarie, altre piccole storie, altre soggettività non “ufficiali”?
Le domande che ci poniamo in realtà intercettano istanze complesse che abbiamo voluto limitare al tema dello “spazio” e dell’immagine della/e memoria/e e dei processi di posizionamento delle diverse e possibili biografie all’interno della struttura generativa e narrativa del ricordo, della ricostruzione individuale della memoria comune attraverso una sua ri-partitura. Un simile angolo di osservazione non ci esime dal discutere anche sul tema dei processi sociali di riconoscimento delle identità nascoste, occultate o dimenticate perché indesiderabili. La metafora della visibilità, del poter essere visto, del potere ricordare perché si è visto, o dell’essere visto, in un certo modo gioca un ruolo di primo piano. Sia in termini astrattamente teorici che attraverso un confronto con la realtà empirica, non possiamo pensare a gruppi che monoliticamente sono possessori e pertanto esprimono memorie univoche, quanto piuttosto a diversi gruppi, diversi imprenditori morali, e pertanto differenti culture della commemorazione. Questi gruppi si pensano e si autorappresentano nello stesso momento in cui sostengono la propria retorica e visione del mondo e, immaginando un destinatario ideale (non importa se in seguito lo intercettino o meno), forniscono una narrazione di sé, della propria identità, definendo performance (e naturalmente contro-performance) e messe in scena. I gruppi coinvolti contribuiscono a fornire, nella trasmissione della memoria collettiva e sociale, interpretazioni che indicano una propria ricostruzione “autentica” degli eventi. Ciò significa che i diversi gruppi legittimano la propria versione attraverso narrazioni performative che attribuiscono autenticità, originalità ed originarietà a fatti specifici, tramutandoli in eventi.
Non è detto che quanto non sia ricordato perché non è visto, o non è fatto vedere perché non si ricordi – è non un gioco di parole – non abbia avuto un ruolo all’interno della costruzione del ricordo, della sua assenza. Si tratta in definitiva di scorgere all’interno di ogni regime di visibilità sociale la sua dimensione opaca, “invisibile”, occulta.
La memoria collettiva, del resto, non può che essere concepita come processo di ricomposizione continua: i soggetti in realtà non rivivono il proprio passato se non ricomponendolo attraverso i “quadri” che sono forniti dai diversi gruppi e dalla società in generale. Ed è proprio in questo rapporto che ogni “memoria” e ogni sua performance commemorativa devono essere comprese, e mai ridotte – al fine di una loro comprensione interattiva – in una dimensione esclusivamente individuale. Sarebbe inoltre assai banalizzante quel processo che porta gli studiosi a pensare alla memoria come “memoria di allora”, come riproduzione fedele degli avvenimenti, trascurando di fatto come invece la memoria sia “memoria di oggi”. E quanto avere dimenticato ieri possa avere effetti sul qui ed ora, sulla nostra composizione del presente.
Così facendo, ogni azione documentaristica o di ricerca, aldilà di qualunque obiettivo vogliano porsi, interviene nella memoria collettiva, agitandola, ricostruendola, intervenendo nella sua ricostruzione: come ricorda Tzvetan Todorov, per essere compreso il mondo ha bisogno di essere affiancato da un doppio immaginario, deve essere narrato, descritto, ricostruito. L’osservatore infatti dovrà tenere conto del fatto che all’origine ipotetica della memoria, al fatto scatenante (il momento da cui si fa decorrere il ricordo o l’oblio), sono da aggiungersi altri elementi che il dispiegarsi sociale del ricordare ha metabolizzato, e continua ad assorbire, anche in termini contradditori e paradossali: Quali processi sociali hanno permesso o permettono che ad alcuni soggetti venga negata cittadinanza nella memoria collettiva, che non diventino “patrimonio collettivo”? che spazio o che vuoto ciò ha creato in termini di sfera pubblica del ricordo e della commemorazione? E rispetto alle arene pubbliche di rappresentazione, che forma istituzionale hanno assunto ricordo ed oblio? Quali attori hanno prodotto e riprodotto ricordo, commemorazione o, al contrario, oblio? E perché, secondo quali modalità? Quali “forme pubbliche” di memoria sono state prodotte, quale forma di passato ed ancora, dal momento che la sistematizzazione del passato produce contemporaneamente etica pubblica, quali definizioni di idea di stato, società civile, rapporti tra stato e cittadini si configurano?
La sfera pubblica politica costituisce uno spazio - discorsivo, istituzionale e topografico - dove i cittadini hanno accesso a dialoghi/discorsi sociali, riguardanti questioni di interesse comune: in altri termini, con questioni politiche nel senso più ampio. Questo spazio, e le condizioni necessarie alla comunicazione al suo interno, sono di essenziale importanza per la democrazia. Questo intreccio di istituzioni e pratiche è espressione di una cultura pubblica ed allo stesso tempo una dimensione che presuppone una cultura pubblica. Si potrebbe affermare che una sfera pubblica funzionante sia la realizzazione dei requisiti comunicativi di una democrazia. La memoria, le sue immagini, la loro trasmissione possono avere sulla sfera pubblica così definita effetti di primaria importanza a patto che si dia “voce” e “visibilità”. E’ indubbio che la costruzione di una sfera pubblica debba passare attraverso la dimensione della società civile, che costituisce la dimensione interazionale e la pre-condizione socio-culturale per una realizzabile sfera pubblica.
Il progetto Isola Nuda vuole, attraverso la ricostruzione di quanto si è chiamato “immagini riconoscenti”, discutere sul rapporto assai complesso tra riconoscimento, memorie e costruzione di una sfera pubblica plurale.